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Per essere sostenibili a livello ambientale e limitare i cambiamenti climatici, bisogna mettere in atto tutte le azioni possibili per ridurre drasticamente le emissioni di gas a effetto serra entro il 2050. È qui che entra in scena un concetto importante, quello del “Net Zero”. Per capire meglio il significato del termine, bisogna fare un passo indietro, all’accordo di Parigi, in base al quale l’innalzamento delle temperature dovuto all’effetto serra non deve essere superiore a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.

Per raggiungere questo obiettivo, è necessario che le concentrazioni di CO2 e quindi di gas serra in atmosfera non aumentino e siano contenute entro certe soglie. Tutti devono fare la propria parte, i singoli individui, le aziende e la politica, e cooperare insieme al fine di ridurre significativamente fino ad annullare le emissioni in tutti i settori, agendo sui processi e sullo stile di vita.

Si parla quindi di “Net Zero” quando i gas serra rilasciati in atmosfera sono bilanciati da una quantità equivalente di gas serra rimossi dalla stessa, così che le emissioni nette siano appunto zero. Per definirsi “Net Zero”, un’azienda deve stabilire dei target di medio termine e pianificare una strategia concreta per il loro raggiungimento. Il piano di riduzione delle emissioni da seguire dovrà essere in linea con l’Accordo di Parigi e l’azienda dovrà agire in ogni punto della sua filiera in modo da rimuovere CO2 dalla sua catena produttiva.

Gli obiettivi di riduzione sono molto ambiziosi, devono essere compatibili con la pianificazione aziendale e sono stabiliti dalle regole della Science Based Targets initiative (SBTi). La SBTi è un punto di riferimento scientifico nell’ambito del Net Zero, fornendo standard e strumenti a questo scopo, e prevede anche una procedura di validazione. Ci sono infatti dei settori per cui è impossibile rimuovere del tutto le proprie emissioni entro il 2050. Per questo motivo, per arrivare alla Net Zero è fondamentale giungere alla “Carbon Neutrality”, dove le emissioni inevitabili di gas serra vengono bilanciate da crediti di carbonio certificati.

I crediti di carbonio, nati con il protocollo di Kyoto del 1997, sono uno strumento che consente di compensare in parte le proprie emissioni. Questi vengono realizzati finanziando specifici progetti di riduzione delle emissioni e di mitigazione dei cambiamenti climatici. Tra questi, ad esempio, vi sono progetti che prevedono l’utilizzo di energie rinnovabili, che vadano a sostituire quella prodotta dai combustibili fossili, oppure progetti di lotta alla deforestazione. In termini quantitativi, un credito di carbonio equivale ad 1 tonnellata di CO2 equivalente ridotta, evitata o rimossa grazie a questi progetti.

Ma non tutte le attività positive per l’ambiente sono in grado di produrre crediti di carbonio. Ci sono infatti regole ben precise a riguardo, per valutare un’azione idonea a generare crediti, e le metodologie di valutazione sono in costante evoluzione, aggiornamento e miglioramento, anche per assicurare la qualità dei crediti. Innanzitutto, la riduzione deve essere reale, misurabile e tangibile. Deve essere comprovata e certificata con metodologie riconosciute da standard internazionali sviluppati da comitati scientifici. Il risultato di riduzione deve poi essere permanente e irreversibile.

Si può quindi dire che il Net Zero è un obiettivo “Science-Based”, in quanto basato sull’analisi scientifica. Tutti gli Stati possono cooperare tra loro attraverso lo scambio di crediti di carbonio certificati. Obiettivo ancora più difficile e ambizioso è quello di diventare “carbon positive”. In questo caso le emissioni rimosse sono superiori a quelle necessarie per raggiungere il “net zero”. A differenza degli obiettivi di carbon neutrality e Net-zero, il carbon positive non ha ancora metodologie o standard condivisi a livello internazionale. In agricoltura e allevamento iniziano però ad esserci delle situazioni che si avvicinano a questo risultato, confermando ancora una volta la virtuosità di questi settori.