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L’Economia circolare, insieme alla Carbon Neutrality, rappresenta un’opportunità e una strada da seguire per poter attuare e vincere le sfide della transizione ecologica. Il significato di “economia circolare” si basa sul concetto che il mondo in cui viviamo ha risorse limitate che tendono ad esaurirsi, mentre la popolazione è in costante ed inarrestabile crescita. È necessario quindi passare ad un modo di vivere più sostenibile, incentivando stili di vita e modelli di produzione e di sviluppo che tengano in considerazione i limiti del nostro pianeta. Tutti devono fare la loro parte, le aziende, le istituzioni e i consumatori, al fine di ripristinare un equilibrio tra consumo di materie prime e di energia, tutela della biodiversità e gestione dei rifiuti ed invertire la rotta del riscaldamento globale mantenendo buone condizioni ambientali.

Fare economia circolare significa quindi intraprendere un profondo cambiamento dei propri comportamenti, rivedere gli stili di vita, di consumo e i processi produttivi che attualmente non sono sostenibili per spreco di energia o per l’eccessiva quantità di scarti, e riconvertirli in sistemi più efficienti. Occorre quindi per prima cosa individuare tutti gli input, come materie prime e risorse, e tutti gli output, come rifiuti ed emissioni, e creare modelli autosufficienti in cui l’output torna input, lo scarto si trasforma in risorsa, in un cerchio chiuso, senza perdite e senza sprechi.

L’approccio circolare permette un recupero e la riduzione dei rifiuti, trasformati in nuove materie prime per l’azienda o per altre filiere produttive. Nella produzione alimentare questo approccio è già diffuso da tempo. Basti pensare ai rifiuti della zootecnia, come letame e liquami, che diventano fertilizzanti per la concimazione dei terreni su cui coltivare i foraggi, specie orticole o frutteti. Oppure, al contrario, gli scarti delle colture possono diventare mangimi per gli animali. Ad esempio sottoprodotti colturali come trebbie di birra, patate, paglia, scarti della lavorazione delle verdure, farine di estrazione, oli vegetali, melassa, vengono largamente impiegati dall’industria mangimistica. Questi possono arrivare a comporre fino al 50% della razione complessiva, soddisfacendo i bisogni nutrizionali degli animali, migliorando l‘indice di conversione e dando un valido contributo alla riduzione dell’impatto ambientale.

L’industria mangimistica è dunque strategica per la sostenibilità del settore agroalimentare, in grado di influire sull’efficienza delle produzioni zootecniche. Un esempio classico è l’utilizzo nell’alimentazione degli animali della crusca di frumento che deriva dalla lavorazione della farina nei molini. In questo caso si passa da un alimento per l’uomo ad un alimento per animali, riducendo lo spreco alimentare, l’impiego delle comuni materie prime, le emissioni di CO2 e l’impatto ambientale. Ad esempio dalla lavorazione di pane, pasta, merendine e biscotti, si possono ricavare utili materie prime da inserire come ingredienti nelle formule dei mangimi, aumentando anche la digeribilità e l’energia della razione.

In un certo senso, l’animale stesso rappresenta in qualche modo un esempio di economia circolare. Dagli animali infatti non si ricavano solo carne, latte o uova, ma l’industria della macellazione genera anche la pelle per la produzione del cuoio, e una grande varietà di sottoprodotti che vengono riciclati per ulteriori trasformazioni. Ad esempio, i tessuti animali vengono usati nella preparazione di valvole cardiache e dispositivi medici, il grasso nell’industria cosmetica, l’abomaso per il caglio naturale, le piume nell’industria tessile, mentre le ossa nel pet food o per produrre gelatine a uso alimentare o farmaceutico.

Le filiere di produzione zootecniche sono quindi fortemente integrate con molti altri sistemi economici, sia a livello di aziende agricole per la produzione primaria, sia a livello della trasformazione industriale. In questo ambito le sfide sono tante e le opportunità davvero infinite, soprattutto grazie al progresso tecnologico. Basti pensare alla possibilità di recuperare proteine e nutrienti per l’alimentazione umana dai sottoprodotti della macellazione, oppure alla valorizzazione energetica, trasformando grassi, deiezioni e contenuto ruminale in biogas, energia pulita e rinnovabile.

Anche in acquacoltura ci sono progetti innovativi che consentono di sostituire olio e farina di pesce con prodotti alternativi che garantiscano lo stesso profilo nutrizionale del mangime tradizionale. Queste alternative derivano dalla valorizzazione di co-prodotti dell’industria alimentare e si inseriscono a buon diritto nell’ottica dell’economia circolare per migliorare la sostenibilità dei sistemi produttivi.

Gli esempi di approcci sostenibili al cibo sono molti, alcuni anche creativi, e mostrano come ciò che consideriamo un rifiuto possa avere una nuova vita, all’insegna dell’efficienza e della sostenibilità ambientale.